Dantedì, l’acqua nella Commedia

da | 25 Mar, 2021 | Naturizzata

Oggi, 25 marzo  2021, si celebra il Dantedì, giorno dedicato al Sommo Poeta durante il quale si celebrano vita e opere di Dante Alighieri in vista del settecentesimo anniversario della sua morte, avvenuta il 14 settembre 1321. Abbiamo quindi pensato di celebrarlo anche noi, andando a ricercare, nella sua opera più celebre, la Commedia, o Divina Commedia, alcuni riferimenti all’acqua, concentrandoci sulle sezioni del racconto durante le quali il poeta si disseta e si purifica con l’acqua dei fiumi Lete ed Eunoè, dalla cui fonte inesauribile sgorga acqua purissima.

A riguardo, infatti, troviamo due riferimenti all’interno della Cantica del Purgatorio. Qui, negli ultimi Canti, precisamente il XXXI e il XXXIII, quando ormai Dante è giunto nell’Eden, che il Poeta colloca sulla sommità del Purgatorio, si ritrova a bere l’acqua dal Lete e dall’Eunoè, due fiumi con stessa fonte e il cui corso iniziale è comune per poi dividersi.

Nel canto XXXI, dopo essere svenuto in seguito a un confronto con Beatrice, Dante si risveglia nel Lete. Qui, guidato da Matelda, raggiunge la riva.

Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi,
la donna ch’io avea trovata sola
sopra me vidi, e dicea: “Tiemmi, tiemmi!”.

Tratto m’avea nel fiume infin la gola,
e tirandosi me dietro sen giva
sovresso l’acqua lieve come scola.

Giunto dalle braccia della donna, quindi, finisce sott’acqua, dove viene obbligato a bere l’acqua del fiume, la cui fonte, inesauribile, è frutto della volontà divina.


Quando fui presso a la beata riva,
’Asperges me’ sì dolcemente udissi,
che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.

La bella donna ne le braccia aprissi;
abbracciommi la testa e mi sommerse
ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi.

Nel Canto XXXIII, il riferimento all’acqua e alla sua purezza è esplicito: nell’ultimo Canto del Purgatorio, infatti, Dante chiede a Beatrice quale fiume si trovi davanti, l’amata gli fa così rispondere ancora una volta da Matelda che, sorpresa, afferma di avergli già spiegato di cosa si tratti.

“O luce, o gloria de la gente umana,
che acqua è questa che qui si dispiega
da un principio e sé da sé lontana?”.

Per cotal priego detto mi fu: “Priega
Matelda che ’l ti dica”. E qui rispuose,
come fa chi da colpa si dislega,

la bella donna: “Questo e altre cose
dette li son per me; e son sicura
che l’acqua di Letè non gliel nascose”.

 Beatrice, dunque, invita la donna ad accompagnare Dante e Stazio sulla riva cosicché i due viaggiatori possano dissetarsi bevendo l’acqua dall’Eunoè.

Ma vedi Eünoè che là diriva:
menalo ad esso, e come tu se’ usa,
la tramortita sua virtù ravviva”.

Come anima gentil, che non fa scusa,
ma fa sua voglia de la voglia altrui
tosto che è per segno fuor dischiusa;

così, poi che da essa preso fui,
la bella donna mossesi, e a Stazio
donnescamente disse: “Vien con lui”.

A questo punto, con l’artificio retorico dell’aposiopesi, Dante rinuncia a descrivere la sensazione provocata dal dissetarsi con un’acqua tanto pura come quella dell’Eunoè.
Il poeta, infatti, sul finire della seconda Cantica, racconta così la sua esperienza con l’acqua del fiume:

S’io avessi, lettor, più lungo spazio
da scrivere, i’ pur cantere’ in parte
lo dolce ber che mai non m’avria sazio;

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